sabato 19 marzo 2016

EQUITALIA CONDANNATA SE INSISTE IN UNA PRETESA INFONDATA

Lite temeraria a carico dell’esattore che insiste nella sua pretesa della quale, sulla base dei documenti in suo possesso, è manifesta l’infondatezza. Così ha stabilito la Cassazione ai danni di Equitalia con l’ordinanza del 22 dicembre 2015, n. 25852.




Nei fatti di causa, già il Tribunale di Torino aveva respinto l’opposizione proposta da Equitalia per ottenere l’ammissione allo stato passivo del Fallimento di una S.r.l. di crediti erariali insinuati con due distinte domande tardive. Secondo il Tribunale, infatti, Equitalia aveva già chiesto ed ottenuto l’ammissione dei crediti in parola grazie ad un’altra domanda di insinuazione tardiva, di cui le due precedenti costituivano pertanto una “mera ed inammissibile duplicazione”. Inoltre, sempre secondo il Tribunale, Equitalia versava in una “colpa grave” per non aver verificato la correttezza del provvedimento di esclusione dei crediti: per questo, l’Ente della riscossione, oltre alle spese di lite, era stato condannato anche al pagamento della somma di 4mila euro. La decisione del Tribunale veniva nuovamente impugnata da Equitalia, questa volta davanti alla Cassazione.

E così si arriva alla pronuncia del 22 dicembre dei Giudici di Roma che, senza usare clemenza, hanno condannando Equitalia a pagare i 4mila euro precedentemente liquidati dal Tribunale. Su Equitalia grava un grave abuso: aver insistito per l’accoglimento della propria pretesa laddove poteva rendersi conto della sua infondatezza semplicemente osservando i dati in suo possesso. La Cassazione ha affermato: “Non v’è alcuna norma [...] dalla quale possa desumersi l’obbligo dell’agente (Equitalia) di impugnare il provvedimento di esclusione del credito e di insistere per l’accoglimento di una domanda della quale, sulla scorta dei documenti che sono in suo possesso, può agevolmente verificare la manifesta infondatezza”. 

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Fonte: Fiscopiù - Giuffrè per i Commercialisti 


EQUITALIA: 92 DIRIGENTI PREMIATI CON 1,5 MILIONI DI EURO

"La società a controllo pubblico, incaricata della riscossione dei tributi su tutto il territorio italiano, bastona i contribuenti con cartelle esattoriali vessatorie e premia con lauti compensi i suoi dirigenti". 
È quanto una ricerca de Il Giornale che pubblica il costo di Equitalia: 1,5 milioni di euro.



Su 92 dirigenti in carico alla società, 92 hanno ricevuto una retribuzione legata alla valutazione di risultato. Tutti bravi e meritevoli di ricevere il premio insomma. Alcuni hanno ottenuto una parte variabile più sostanziosa, vicina ai 45 mila euro. Mentre altri si sono dovuti accontentare di 3 mila euro. Ma nessuno è rimasto a bocca asciutta, andando puntualmente a integrare la parte fissa dello stipendio.

Continua il Giornale che  Mineo, per esempio, nel 2014 era accreditato di uno stipendio composto solo di parte fissa, ma di 260.400 euro. Un po’ di più del tetto di 240 mila euro fissato dal Governo di Matteo Renzi, che però è entrato in vigore dopo. Poi troviamo Renato Raffaele Vicario, che tra parte fissa (196.400 euro) e parte legata al risultato (34.800), ha incassato 231.200 euro. A seguire Luciano Mattonelli, forte di 230.200 euro (fisso di 196.400 più risultato di 33.800). Poco più sotto si collocano Marco Balassi con 225 mila euro (fisso di 189 mila più risultato di 36 mila), Carlo Lassandro con 223.200 euro (fisso di 189.300 più risultato di 33.900) e Mauro Bronzato con 212.300, (fisso di 166.400 più risultato di 45.900). Può essere il caso di registrare che lo stesso Bronzato, all’interno dei 92 dirigenti, è quello con il compenso più alto legato al risultato (i suddetti 45.900 euro).

La "cuccagna di Equitalia" è venuta a galla dopo che i dati del 2014 sono stati pubblicati dalla società controllata dalla Agenzia delle Entrate. Bisogna quindi precisare che questi dati si riferiscono a due anni fa, quando era ancora alla guida l'Ad Benedetto Mineo, sostituito l'estate scorsa dall'attuale, Ernesto Maria Ruffini. Ma le cose sembrano essere rimaste invariate: infatti tutti i dirigenti premiati si trovano tuttora nei ranghi della società.